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C O R R E N T E

​​​​​​​​Alla Galleria Trentadue di via Brera a Milano per la mostra retrospettiva di Corrente, da sinistra: Raffaele De Grada, Bruno Cassinari, Mario De Micheli, Salvatore Quasimodo, Ernesto Treccani, Aligi Sassu e Giuseppe Migneco.                            

Dicembre 1967

Nel 1938 un Ernesto Treccani appena diciottenne, studente di ingegneria al politecnico per desiderio del padre, fondò e diresse la rivista “Corrente di Vita Giovanile”, nata come foglio autonomo e bruscamente soppressa dalla censura dopo meno di tre anni di pubblicazioni, nel 1940. La rivista e il suo giovanissimo direttore seppero radunare in poco tempo quelli che diventeranno i nomi eccellenti della cultura dell'opposizione: tra i collaboratori di Corrente vi furono infatti Luciano Anceschi, Giulio Carlo Argan, Antonio Banfi, Piero Bigongiari, Luigi Comencini, Carlo Emilio Gadda, Alfonso Gatto, Alberto Lattuada, Enzo Paci, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Luigi Rognoni, Umberto Saba, Giancarlo Vigorelli, Elio Vittorini. Attorno alle edizioni di “Corrente” e alle mostre organizzate dalla Bottega di Corrente, in via della Spiga 9, si coaugularono quindi le nuove forze d'opposizione, culturale e politica. I protagonisti della fronda alla politica culturale del fascismo provenivano da un'area geografica assai vasta, un’area che comprendeva sia la Torino dei Sei, sia la Roma della Scuola di via Cavour, fino alla Milano di Edoardo Persico, la Milano dove Migneco, Sassu, Birolli e Manzù intorno alla metà  degli  anni  trenta vivono   la loro  prima  stagione. E  come   proclama  su   Corrente   il manifesto di pittori e scultori del 1940, anno in cui si chiude la breve avventura intellettuale della rivista, questa generazione di giovani oppositori accusa la pittura italiana della generazione che la precede di non avere tenuto conto della vita. Questa pittura sul “come” e sul “dove” ha dimenticato che solo nel rischio e non nel calcolo e nell'ironia sta l'unica possibilità di relazione. "Siamo contrari alla metafisica che invita allo stupore e al mistero. Siamo contrari al surrealismo poiché esso, nello scavo di una dimensione oltre il nulla, ha perduto di vista scheletro, carne e cuore. Siamo contrari all'espressionismo a sfondo di interiorità, isolamento, convulsione. Di questo movimento non sappiamo salvare che il carattere di profonda urgenza delle sue parole. Con la pittura vogliamo innalzare bandiere". Nel periodo di Corrente Migneco, che alla ricerca di una sua interiorità aveva già iniziato a studiare negli anni ‘30 Van Gogh, si caratterizza per un accentuato vangoghismo: i visi sono tirati, le forme ondeggianti, i colori acidi. I volti dei cacciatori di lucertole, il capolavoro  di Migneco del  1942,  sono deformi  e sofferenti,  simili a quelli dei  mangiatori  di patate  di Van Gogh. Nel periodo del dopoguerra la pittura di Migneco acquista forti venature espressionistiche e si arricchisce di nuovi spunti di riflessone, mediante l’introduzione del tema della denuncia sociale, fino a proporsi come un grido di ribellione per l'umanità oppressa e dimenticata. La problematica sociale accosta pertanto Migneco al verismo ottocentesco e alla letteratura meridionalistica del Novecento. 

I LIBRI DI CORRENTE

“L’innata vocazione artistica di Migneco”



"I ricordi di quel tempo sono tanti e certo non tutti piacevoli; pure se discussioni e dibattiti nella piccola galleria di “Corrente”, nelle riunioni serali alla bottiglieria dell’Astigiana o nelle trattorie nei dintorni di Brera erano fervidi di entusiasmo per tutte le piccole e meno piccole conquiste che venivano arricchendo la nostra vita e la nostra pittura, pure se ci si sentiva confortati dalla speranza di potere un giorno affermarci come pittori o come uomini, non bisogna dimenticare che il clima creato dal fascismo e l’incombere delle minacce che questo cominciava a far pesare sul mondo, rendevano del tutto precari entusiasmo e speranze. In quegli anni “Corrente” era divenuta punto di riferimento per la giovane cultura italiana"

 
Stralcio di un' intervista di Sergio Palumbo a Giuseppe Migneco
“Gazzetta del Sud”, 12 febbraio 1988​
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